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IO LEGGO/8: ADDIO A BERLINO

Addio a Berlino

di Antonio Fresa

 

Questo davvero è  il caso di Addio a Berlino, il libro di Cristopher Isherwood che, come vedremo di seguito, ha avuto un grandissimo successo e numerose riletture fin dalla sua uscita.

La sua stessa struttura e natura – il diario di un osservatore straniero nella Germania che si avvia verso l’avvento del nazismo – hanno incuriosito e attratto i lettori per un alto valore letterario, ma anche per il suo essere un’occasione importante per riflettere sulla “resistibile” ascesa della dittatura e sulla caduta della Repubblica di Weimar.

Per porre in primo piano la rilevanza di questo “diario berlinese”, è sufficiente indicare le date entro cui si colloca la sua stesura: autunno 1930 – inverno 1932/33.

Uno sguardo che cade sulla città di Berlino e vaga per mettere a fuoco personaggi apparentemente lontani e separati.

Si va, infatti, da un’eccentrica, anziana affittacamere alla sensuale Sally Bowles, aspirante attrice un po’ svampita, a Otto, ombroso proletario diciassettenne, a Natalia Landauer, rampolla di una colta famiglia ebrea dell’alta società.

Sono tutti personaggi coinvolti in quella che Isherwood definisce la prova generale di una catastrofe, che si muovono tra cabaret e caffè, tra case signorili e squallide pensioni, tra il puzzo delle cucine e quello delle latrine, tra file per il pane e manifestazioni di piazza, tra crisi economica e cupa euforia.

Tutti, proprio tutti, saranno coinvolti – a diverso titolo e con ruoli differenti – nella resistibile ascesa del nazismo.

Le osservazioni e il racconto ci proiettano, quindi, nel pieno dell’ascesa del nazismo in un paese – la Germania – che dopo la catastrofe del primo conflitto mondiale e i punitivi trattati di pace, con l’avvento della Repubblica di Weimar e il lento mutare delle relazioni internazionali, sembrava in grado di voltare pagina in senso politico ed economico.

Le conseguenze della “grande crisi” del 1929 non tardano a farsi sentire e a innescare i processi che consentiranno, in pochissimi anni, l’ascesa di un dittatore come Hitler.

I fattori da analizzare sono – ovviamente – assai più vasti e compositi di quelli didascalicamente enunciati in questa sede.

Se è lecito ancora un riferimento, che potrebbe tornare utile in sede di approfondimento e per lo studio, è bene sempre riconsiderare la diversità nelle vicende che portano il fascismo al potere in Italia e il nazismo al potere in Germania.

Si riscontrano, infatti, nella pur necessaria volontà di analizzare nel complesso la definizione dei cosiddetti “totalitarismi”, una generalizzazione e una sovrapposizione che, collocando in primo piano la definizione del fenomeno generale, lasciano non sufficientemente espresse e dichiarate le dinamiche storiche che pure hanno prodotto i singoli eventi della storia.

La Germania si avvia alla sua tragedia e lo spirito tedesco sembra impregnato – come ha ricostruito uno storico attento come Walter Laqueur nel suo lavoro dall’ovvio titolo La Repubblica di Weimar (forse è in questo caso più rilevante il sottotitolo di un’edizione italiana dell’opera: Vita e morte di una società permissiva) – di una voglia di sopravvivenza generata dalla sconfitta nella prima guerra mondiale e da una sorta di smania a smarrirsi in un ottimismo senza basi.

Il motto che può sintetizzare lo stato d’animo di una parte dei tedeschi è ripreso, nella ricostruzione dello storico, dall’opera dell’umanista rinascimentale tedesco, Ulrich von Hutten: Es ist eine Lust zu leben (E’ una gioia essere vivi).

La gioia di essere sopravvissuti alla sconfitta non lascia intravedere la catastrofe che sopraggiunge.

Le pagine di Isherwood descrivono la stessa imbarazzante e inconsapevole attesa di una vita spasmodica capace di portare futuri successi che non hanno, però, alcuna base.

Addio a Berlino
Christopher Isherwood
Adelphi, 2013
Pagine 252, € 18,00

 

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