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IO LEGGO/18: SCOTELLARO, JOVINE E LEVI: RACCONTARE IL SUD

Scotellaro, Jovine e Levi: raccontare il Sud

di Antonio Fresa

 

Una breve ricognizione su tre autori che hanno raccontato il Sud d’Italia e i suoi protagonisti. Tre scrittori con storie, provenienza e sensibilità diverse fra loro eppure legati da un amore profondi per la terra e le genti del Meridione. Un piccolo contributo per tornare a parlare di opere che sarebbe bene rileggere.

Un tempo ci sarebbe stato più facile raccontare la storia di Rocco Scotellaro.

Oggi, probabilmente, ci risulta più difficile: comunque, questa vicenda ci sembra necessaria, per offrire almeno uno spiraglio nella memoria.

Nel 2013 il nome di Rocco Scotellaro si lega a due ricorrenze: i novant’anni dalla nascita e i sessanta dalla morte di questo figlio della Basilicata, nato a Tricarico nel 1923 e morto a Portici nel 1953.

Possiamo provare, in questa sede, a proporre una breve carrellata di personaggi, temi e opere che appartengono tutte quasi allo stesso momento storico e sono tutte tracce della necessità – nel secondo dopoguerra – di ripensare, in tutta la sua drammaticità, la questione meridionale.

La vicenda individuale di Rocco Scotellaro, nel pieno rispetto delle sue indicazioni e della sua vocazione politica e poetica, può aiutare ad allargare lo sguardo sulla vicenda collettiva di quei contadini del Sud che attendevano uno spazio nella storia.

Una vita breve, dunque; una vita intensa e piena, con un percorso esistenziale, poi politico e letterario, che è, a un tempo, semplice e complesso.

Il rapporto con le origini e la riflessione sulle condizioni dei contadini del Sud furono, di certo, il filo conduttore della vita di Scotellaro; i diversi momenti, gli incontri intellettuali e politici dicono, invece, di una profonda ansia di confronto, di scambio e anche, per certi versi, di emancipazione.

“Sono passati dieci anni dal giorno della morte di Rocco Scotellaro, e dal lamento funebre antico che lo accompagnò al cimitero sul Basento: morte così ingiusta e improvvisa da non essere creduta vera dai contadini, o ritenuta, come tutte le più gravi sventure, un tradimento degli uomini o un capriccio funesto del cielo nemico”: queste sono parole di Carlo Levi, a dieci anni dalla morte di Scotellaro, nella prefazione a un volume della Laterza che univa L’uva puttanella (1955) e Contadini del Sud (1954), due momenti concentrici dell’opera dello scrittore di Tricarico.

In quel lamento funebre rievocato da Levi, una madre, Francesca Armento, piangeva il figlio; un’intera comunità piangeva il suo figlio che, divenuto guida politica e culturale, collegando fra le sue mani la falce e il libro, era morto lontano di casa.

Con i versi della poetessa Amelia Rosselli si potrebbe dire: Rocco morto
terra straniera, l’avete avvolto male
i vostri lenzuoli sono senza ricami
Lo dovevate fare, il merletto della gentilezza!

Rileggere questi pochi passi, riconduce a un clima culturale diverso.

Nelle brevi osservazioni riportate sul dolore per la morte di Scotellaro, si intravede lo stile interpretativo dell’autore di Cristo si è fermato a Eboli (1945) e il suo sguardo sui paesi che lo avevano accolto negli anni del confino.

A questo ricordo reale e storico narrato da Levi, non possiamo non associare il lamento e il dolore per la morte di un eroe tutto letterario come il Luca Marano de Le terre del Sacramento (1950) di Francesco Jovine.

Un’altra madre, Immacolata Marano, piange suo figlio: – Luca, oh Luca! – e si mise le mani intrecciate sul capo dondolando sul busto. – Luca, spada brillante, – gridò una voce giovanile. – Spada brillante, – ripeterono in coro le altre. – Stai sulla terra sanguinante. Via via le donne si misero le mani intrecciate sulle teste, altre presero le cocche dei fazzoletti nei pugni chiusi e li percuotevano facendo: – Oh! Oh! Spada brillante, stai sulla terra sanguinante! – T’hanno ammazzato, Luca Marano.

Come pure si può comprendere dalle nostre brevi osservazioni, ciò che distingue la realtà di Rocco Scotellaro dalla finzione letteraria di Luca Marano è l’incontro con la morte: per malattia quella del primo; morte violenta quella del secondo.

Il tratto che li accomuna, almeno nel valore epico che si può dare alla narrazione di una vita breve e intensa, è il farsi carico della rivolta e del mutamento in terre che sembravano segnate da un destino senza storia.

Con brevi cenni, ovviamente appena abbozzati rispetto alla vastità degli interessi di Scotellaro, ripensiamo anche alla sua produzione poetica e in particolare alla raccolta E’ fatto giorno (1954). Ci lasciamo guidare da una riflessione di Franco Fortini che così sintetizza il mondo poetico di Scotellaro: “I motivi di Rocco si riconducono tutti ai rapporti infanzia-maturità, partenza-ritorno, sottomissione-rivolta, paese-nazione, piccolo mondo contadino-grande mondo moderno. Queste coppie antitetiche sono soltanto la contraddizione sentimentale dell’autore. Sono la contraddizione reale della sua società”.

Sullo sfondo, ancora in maniera necessaria, ci costringono alla riflessione, su quel momento storico e su quelle terre del Sud, le opere di Ernesto de Martino (Morte e pianto rituale, Sud e magia, La terra del rimorso).

Il legame tra le sue ricerche e l’attività di Scotellaro risulta evidente, pensando ad un’opera come Contadini del Sud, una sorta di narrazione di storie contadine, raccontate dai diretti interessati.

Un legame ancora deve essere palesato, anche perché ci riconduce al luogo della morte di Scotellaro e cioè a quella Portici dove operava e agiva Manlio Rossi Doria, fondatore del Centro di specializzazione e ricerche economico-agrarie per il Mezzogiorno (scuola di Portici).

L’incontro tra Rossi Doria e Rocco Scotellaro fu importantissimo in anni in cui si reinterpretava la storia meridionale e si analizzavano le condizioni di vita delle masse agrarie.

La distinzione proposta da Rossi Doria tra “polpa” – le aree costiere e le pianure – e “osso” – le aree interne e montuose – denunciava anche la divaricazione sociologica tra le diverse aree del Sud, in relazione ai primi interventi della Cassa del Mezzogiorno.

Tanto altro sarebbe necessario, per restituire la ricchezza e l’atmosfera di quegli anni in cui la voce di Rocco Scotellaro costituì un costante arricchimento della cultura meridionalista nel quadro della ricerca di uno sviluppo italiano.